Con tutto il rispetto per la persona ed il ruolo dell’Arcivescovo di Torino, ci permettiamo di esprimere pubblicamente il nostro dissenso su quella parte della sua intervista di ieri a La Stampa riguardante il Parco della Salute.
Monsignor Nosiglia “Oltre all'automotive … insiste nella necessità di non sprecare l'occasione di procedere con la Città della Salute, che «contiene opportunità importanti sia per il rilancio urbanistico che per la ricerca e le applicazioni medicali».
Concordiamo sull’opportunità che la sanità torinese mantenga e sviluppi i cosiddetti “poli di eccellenza” di cui si fa giustamente vanto, ma non è questa oggi la priorità e l’urgenza della popolazione torinese.
La pandemia Convid-19 tuttora incombente ha messo in evidenza la tragica mancanza di strutture e strumenti di prevenzione del contagio, quella rete di servizi sanitari territoriali di prevenzione e cura che avrebbero potuto salvare migliaia di vite umane, e dare lavoro a migliaia di medici, infermieri, tecnici e operatori sanitari di cui la pandemia ha rivelato la drammatica mancanza.
Non basta che si apra il cantiere di una grande opera sanitaria: se la sanità è un bene comune e non una merce il Parco della Salute è solo l’alibi per chiudere definitivamente presidi sanitari territoriali strategici come l’Ospedale Valdese, il Maria Adelaide, l’Oftalmico sostituiti dal nulla.
“Quel” polo di eccellenza è voluto da una cultura che considera la salute come una merce sulla quale fare profitti immobiliari e finanziari, prima che sanitari, dove il lavoro stesso, ridotto a merce, è sempre meno sicuro e tutelato
Monsignore, si chieda come riusciremo a far fronte ad una eventuale ripresa autunnale della pandemia, se non si concentrano subito tutte le risorse e le energie nella ricostruzione della rete territoriale dei servizi sanitari di base, e sull’attribuzione ai medici di famiglia non di qualche soldo in più, ma di un ruolo determinante nella prevenzione e cura delle persone.
Ma si chieda anche perché Il Parco della salute dovrebbe sorgere proprio lì, in una zona congestionata tra il cemento e i binari ferroviari e non invece in un’area altrettanto vasta ma “all’aria aperta”, quale potrebbe essere l’area Thyssen di Corso Regina: fin dalla tragedia si era detto che doveva essere destinata a scopi di sicurezza e salute sul lavoro.
Confidiamo nella sua parola autorevole ed ispirata.
Torino, 13 luglio 2020