Riprendiamoci la Cassa!
di Marco Bersani (dal manifesto del 19 febbraio)
L’analisi espressa, con usuale lucidità, da Guido Viale nel suo articolo La Grecia siamo noi» ( il manifesto del 17/2/2011), andrebbe a mio avviso integrata con una riflessione da aprire a tutto campo su come sia possibile finanziare i necessari cambiamenti che volenti perché collettivamente ci riprendiamo in mano il nostro destino – o nolenti – se continuiamo a credere alle favole del governo dei professori dovremo affrontare.
A chi continua a ripetere come un mantra «i soldi non ci sono» occorre certo rispondere con l’argomentazione che una diversa finalizzazione della fiscalità generale – drastica riduzione delle spese militari in primis – renderebbe disponibili risorse oggi non utilizzabili. Ma allo stesso tempo occorre contestare l’assunto in quanto palesemente falso. Perché i soldi ci sono, sono tanti e più che sufficienti per invertire la rotta, chiudendo definitivamente con le politiche liberiste e iniziando a costruire un altro modello sociale, basato sui diritti collettivi, sulla riappropriazione sociale dei beni comuni, sulla riconversione ecologica e democratica dell’economia.
Dodici milioni di persone affidano i propri risparmi a Poste Italiane, attraverso i libretti di risparmio e i buoni fruttiferi. La massa di questi risparmi viene raccolta dalla Cassa Depositi e Prestiti, che, dalla sua nascita nel 1860 e fino al 2003, la utilizzava per permettere agli enti locali territoriali di poter fare investimenti con mutui a tasso agevolato. Nel 2003, la Cassa Depositi e Prestiti è stata tramutata in società per azioni e nel suo capitale societario sono entrate (30%) le fondazioni bancarie. Da allora, la Cassa Depositi e Prestiti si è progressivamente trasformata in una merchant bank che continua a finanziare gli enti locali ma a tassi di mercato e che investe in diversi fondi con finalità di profitto. La massa di denaro mossa annualmente dalla Cassa Deposti e Prestiti è enorme: circa 250 miliardi di euro, con una liquidità disponibile di quasi 130 miliardi di euro; si tratta di gran lunga della “banca” più solida e nello stesso tempo più “liquida” del Paese. E allora alcune riflessioni diventano necessarie.
1. La natura di bene comune della Cassa Depositi e Prestiti risulta evidente dalla provenienza del suo ingente patrimonio, che per oltre l’80% deriva dalla raccolta postale, ovvero è il frutto del risparmio dei lavoratori e dei cittadini di questo Paese. Tale natura è del resto anche giuridicamente sostenuta dall’art.10 del D. M. Economia del 6 ottobre 2004 (decreto attuativo della trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni ) che così recita: «I finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti rivolti a Stato, Regioni, Enti Locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, costituiscono servizio di interesse economico generale . Il paradosso risiede nel fatto che, mentre si afferma ciò, la Cassa Depositi e Prestiti è stata trasformata in una società per azioni a capitale misto, la cui parte privata (30%) è appannaggio delle fondazioni bancarie, facendo sorgere un’inevitabile prima domanda: come possono un ente di diritto privato (tale è la SpA) e soggetti di diritto privato presenti al suo interno, come le fondazioni bancarie, decidere per l’interesse generale?
2. Pur continuando la Cassa Depositi e Prestiti a mantenere, tra i settori principali delle proprie attività, quello “tradizionale” relativo al finanziamento degli investimenti degli enti pubblici, con la trasformazione in SpA, questa attività deve avvenire assicurando un adeguato ritorno economico agli azionisti. Come recita l’art. 30 dello Statuto della società «Gli utili netti annuali risultanti dal bilancio (..) saranno assegnati (..) alle azioni ordinarie e privilegiate in proporzione al capitale da ciascuna di esse rappresentato». E la relazione annuale societaria, relativa al 2010, dichiara con soddisfazione la chiusura del bilancio con un utile netto di 2,7 miliardi di euro, nonché il fatto di aver garantito agli azionisti, dall’avvenuta privatizzazione ad oggi, un rendimento medio annuo superiore al 13%. Se l’unità di misura delle scelte di investimento è la redditività economica delle stesse, è evidente il “vulnus” di democrazia rispetto alla loro qualifica di servizio di primario interesse pubblico.
3. Altrettanto paradossale appare il fatto che, con la privatizzazione della Cassa Depositi e Prestiti, siano state proprio le fondazioni bancarie quelle chiamate a partecipare al capitale sociale della nuova società per azioni. Le fondazioni bancarie sono spesso i principali azionisti delle banche di riferimento, con le quali la Cassa Depositi e Prestiti fino ad allora competeva, fornendo agli enti pubblici risorse finanziarie a condizioni più convenienti. Sarà forse un caso che da allora, attraverso una scelta di elevati tassi di interesse sui mutui accesi, le condizioni di finanziamento privilegiato da sempre rivolte agli enti pubblici siano progressivamente svanite, spalancando le porte degli stessi all’indebitamento coi mercati finanziari?
4. Se più dell’80% delle entrate della CDP SpA deriva dal risparmio dei lavoratori e dei cittadini, si pongono problemi rilevanti di diritto all’informazione e di diritto alla partecipazione alle scelte di destinazione degli investimenti. Se infatti per 150 anni la destinazione al finanziamento degli investimenti degli enti locali territoriali era scontata (e tacitamente condivisa dai cittadini “prestatori”), con la trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni nasce una questione ineludibile di democrazia partecipativa: i lavoratori e i cittadini devono avere voce sulla destinazione dei soldi prestati e partecipare all’indirizzo delle scelte sugli investimenti da intraprendere , ad esempio ponendo vincoli di destinazione a finalità sociali ed ambientali degli stessi.
5. Appare sempre più evidente come Cassa Depositi e Prestiti SpA, pur continuando a raccogliere i fondi dal risparmio dei cittadini e dalle necessità di investimento degli enti locali territoriali, sia oggi un vero e proprio fondo sovrano, con un intervento a largo raggio nell’economia e sui mercati finanziari di tutto il mondo Quella stessa economia e finanza di mercato messa alle corde dalla crisi sistemica in corso e dalla perdita di consenso fra le persone, come i referendum sull’acqua e i beni comuni dello scorso giugno hanno pienamente dimostrato. D’altronde , i temi della riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni da una parte e di una nuova finanza pubblica dall’altra sono fra loro strettamente connessi: chiedendo la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, il movimento per l’acqua afferma le necessità di una nuova fiscalità generale e di nuovi strumenti di finanza pubblica; allo stesso modo, la rivendicazione di una nuova finanza pubblica rimanda immediatamente a beni comuni da affermare come indisponibili al mercato e a servizi pubblici di qualità da garantire a tutte e tutti. Sono tutte riflessioni che hanno indotto Attac Italia e molti altri soggetti singoli e associativi ad avviare lo studio di una campagna per la socializzazione del sistema creditizio e per la riutilizzazione con finalità sociali e ambientali dell’enorme quantità di soldi raccolta dalla Casa Depositi e Prestiti e oggi destinata a ben altri scopi. Riappropriarsi collettivamente di questo denaro diviene la precondizione per poter indirizzare e finanziare il cambiamento necessario, immaginare un’altra uscita dalla crisi, rendere effettiva la ripubblicizzazione di beni comuni come l’acqua, realizzando concretamente quanto deciso dalla maggioranza assoluta del popolo italiano con la straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011. Tutti assieme è possibile.