1. Un anno è passato dall’esito referendario sull’acqua, attraverso il quale la maggioranza assoluta dei cittadini italiani ha detto a chiare lettere che l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale, che la sua gestione deve essere pubblica, partecipativa e priva di profitto.
Per come è stata costruita e per come si è realizzata, quella vittoria referendaria ha rappresentato il momento più alto di disconoscimento collettivo delle politiche liberiste, nonché, attraverso il fortissimo protagonismo sociale suscitato, una risposta reale alla crisi verticale della democrazia rappresentativa.
2. Nel corso di quest’anno, quel risultato referendario si è dovuto confrontare con il nuovo scenario aperto dalla precipitazione della crisi economico-finanziaria a livello globale e con le politiche imposte a livello europeo e dai governi nazionali.
Nello specifico, il movimento dell’acqua si è trovato di fronte, più che ad un voluto oblio del risultato referendario, ad un attacco repentino, diretto e continuato, dovuto tanto al precedente governo Berlusconi, quanto all’attuale governo Monti, i quali, preso atto della perdita di egemonia del “pensiero unico del mercato”, hanno decisamente spostato il tiro non più sulla ricerca del consenso, quanto sull’imposizione emergenziale di nuove norme necessarie per soddisfare le esigenze dei mercati finanziari : dal “privato è bello” si è quindi passati al “privato è obbligatorio e ineluttabile”.
3. Il movimento per l’acqua ha reagito al nuovo scenario attraverso la messa in campo a livello territoriale e nazionale di battaglie di forte resistenza : dalla campagna di obbedienza civile per il rispetto dell’esito del secondo quesito referendario alle mobilitazioni contro i tentativi d rendere definitive le politiche di privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali; dal contrasto ai tentativi di grandi fusioni (la multiutility del nord) e contro l’ulteriore vendita di quote pubbliche di Acea all’opposizione al ridisegno degli ATO in chiave centralistica e ademocratica; dalle lotte contro le privatizzazioni in tutti i territori alle spinte verso la ripubblicizzazione dei servizi idrici gestiti da SpA a totale capitale pubblico, fino alla realizzazione di due importanti manifestazioni nazionali.
Un insieme di battaglie che hanno dimostrato tanto la persistenza del movimento per l’acqua, quanto la permanenza delle ragioni profonde che hanno prodotto la vittoria referendaria del giugno 2011. Persistenza e permanenza che hanno senz’altro contribuito al recente, e per certi versi storico, pronunciamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 199/2012) di annullamento di tutti i provvedimenti governativi avversi all’esito referendario.
4. Si è trattato di una stagione che ha messo in luce, tanto a livello territoriale quanto a livello nazionale e globale, una delle più pesanti contraddizioni delle politiche liberiste in questa fase : la questione della democrazia. L’attacco al voto referendario è stato innanzitutto un attacco alla volontà sovrana e costituzionalmente garantita di un popolo, così come a livello locale –con pochissime lodevoli eccezioni- il disconoscimento del risultato referendario ha messo in luce una tendenza preoccupante per cui gli enti locali, da luoghi di prossimità democratica territoriale, si trasformano sempre più in luoghi di mera esecuzione delle direttive dei poteri forti, politici e finanziari. Senza dimenticare che la nostra legge d’iniziativa popolare, sottoscritta da oltre 400.000 persone, continua a giacere nei cassetti delle commissioni parlamentari.
5. Vero è che, nel corso di quest’anno, forse per la doppia difficoltà di trovarsi da una parte nell’inedito ruolo di aver costruito sull’acqua e i beni comuni un nuovo paradigma culturale capace di parlare all’intero Paese e dall’altra di trovarsi sotto un potentissimo attacco da parte dei grandi poteri forti finanziari, la discussione strategica del movimento per l’acqua si è rivelata insufficiente rispetto alla situazione, quando non avvitata nella discussione sul miglior funzionamento interno, ma poco capace di dare un respiro forte verso la società.
6. Proprio in conseguenza di queste brevi note sopra descritte, riteniamo che la discussione che il movimento per l’acqua si appresta ad intraprendere in vista dell’assemblea nazionale del prossimo ottobre debba avere il respiro profondo dell’analisi sulla crisi (che, va sempre ricordato, è crisi economica,sociale ed ambientale), lo sguardo ampio della riflessione sulla società, la valorizzazione dell’esperienza collettivamente prodotta, l’analisi delle contraddizioni e delle possibili risposte che il movimento per l’acqua può contribuire a dare dentro il nuovo scenario.
7. Si tratta, a nostro avviso, di provare a rispondere tutte e tutti assieme ad una domanda centrale :
come si rilancia a livello territoriale, nazionale e internazionale la battaglia dell’acqua?
Diciamo “territoriale e nazionale”, perché siamo assolutamente convinti del fatto che l’aver saputo costruire un movimento di ampissima diffusione e radicamento territoriale e l’aver costruito su questa base una fortissima vertenza nazionale siano stati gli elementi decisivi che hanno permesso al tema dell’acqua e dei beni comuni di irrompere dentro l’agenda politica del Paese e di parlare all’intera società, fino al suo diretto coinvolgimento nel positivo esito referendario.
E diciamo “internazionale”, non solo perché la ricchezza del movimento per l’acqua italiano sta contribuendo alla nascita di una rete europea per l’acqua pubblica, ma soprattutto perché è proprio la crisi in corso a dirci come la dimensione almeno europea delle lotte debba divenire l’orizzonte in cui le stesse si collocano.
8. La domanda di cui sopra va dunque in primo luogo declinata rispetto alle specifiche battaglie messe in campo dal movimento per l’acqua e tuttora in corso. Sono battaglie importanti perché hanno il difficile compito di sensibilizzare i cittadini sia in merito al fatto che il protagonismo espresso durante la campagna referendaria deve essere riattivato per renderne effettivi i risultati, sia in merito ai nessi che collegano la battaglia per l’acqua alle politiche liberiste messe in campo nella crisi. Ma sono vertenze, che, se praticate solo nell’ambito territoriale, rischiano di dover rinunciare a parte della potenzialità conflittuale che portano con sé, proprio in una fase nella quale, di fronte al deterioramento complessivo e repentino delle condizioni naturali di vita del pianeta e al cambiamento climatico, diviene ancor più centrale il tema della preservazione quantitativa e qualitativa del bene comune acqua e la lotta contro la mercificazione e la valorizzazione finanziaria delle stesse fonti idriche essenziali (sorgenti, fiumi, laghi, ghiacciai).
Ma la domanda sopra indicata ne porta con sé diverse altre.
9. Riteniamo infatti che l’eccedenza in termini di cambiamento culturale, di mobilitazione sociale e di protagonismo diretto prodotta dall’esperienza referendaria sull’acqua sia difficilmente contenibile nella riproposizione ‘sic et simpliciter’ di quella esperienza. La crisi globale e le politiche applicate dalla Bce e dai governi nazionali mettono il paradigma dell’acqua e dei beni comuni direttamente al centro del conflitto in corso e futuro. La risposta che i grandi capitali finanziari esigono dai governi corrisponde alla considerazione dei beni comuni come assets redditizi irrinunciabili per poter accedere a profittabilità enormi e garantite.
Il nuovo paradigma dei beni comuni, per la cui affermazione culturale il movimento per l’acqua ha dato un contributo decisivo, diviene di conseguenza uno degli elementi centrali del conflitto per la costruzione di un nuovo modello di società.
10. Cosa vuol dire, a partire dall’acqua, aprire il fronte dei beni comuni? E’ questa, secondo noi, una delle domande alle quali dobbiamo trovare collettivamente una risposta. Ovviamente a partire dalla considerazione, che va riconfermata, di come alla radice della nostra iniziativa rimanga la necessità di una forte attenzione alla risorsa idrica, al ciclo integrale dell’acqua ed alla sua natura di diritto umano fondamentale in quanto elemento necessario ed indispensabile alla vita.
Perché è da quest’assunto che si può partire per inverare, nella pratica sociale e negli obiettivi perseguiti, l’affermazione che “l’acqua è un paradigma”.
Un passaggio non semplice, rispetto al quale si tratta di evitare diverse illusorie scorciatoie: da quelle che pensano alla trasformazione del movimento per l’acqua in un movimento “tout court” per i beni comuni, con automatica annessione dei temi, a quelle che immaginano la costruzione di un movimento per i beni comuni come semplice sommatoria di lotte; a quelle, infine, che immaginano che l’unificazione possibile passi per la rappresentatività politica delle stesse.
Noi pensiamo che il terreno possibile sia da una parte quello della pratica sociale territoriale –in molte realtà già in atto- per la costruzione di una sorta di “economia ed autogoverno territoriale dei beni comuni”, dall’altra quello della costruzione di alcuni nessi tra le diverse esperienze che possano divenire obiettivi comuni di vertenza nazionale e di mobilitazione collettiva, che ha come elemento fondamentale il fatto che ogni soggettività che interviene sui singoli beni comuni costruisca la propria esperienza anche nella dimensione nazionale.
11. Uno dei nessi che riguarda, a nostro avviso, sia specificamente la lotta per la ripubblicizzazione dell’acqua sia le lotte per gli altri beni comuni, è senz’altro la democrazia. La crisi della democrazia rappresentativa, già palese da diversi anni, trova nelle ricette liberiste imposte nella crisi attuale la sua caduta verticale. Non è solo il gravissimo attacco all’esito referendario a dimostrarlo : il muro di gomma opposto dalle istituzioni a qualunque livello a tutto ciò che si muove nella società è ormai evidenza quotidiana. Si tratta di un terreno dentro il quale vanno operate rotture a tutti i livelli che riaprano spazi pubblici di decisionalità collettiva, in cui si intraprendano finalmente piste per la sperimentazione di percorsi di democrazia partecipativa. Come e attraverso quali strumenti costruire una campagna per la democrazia a livello territoriale e nazionale? È a nostro avviso un’altra delle domande a cui come movimento per l’acqua dobbiamo provare a dare risposta.
12. Un secondo nesso riguarda le risorse economiche e finanziarie per realizzare la gestione pubblica e partecipativa dell’acqua e l’autogoverno dei beni comuni. Nell’attuale contesto di crisi, i poteri forti economici e politici a qualsiasi livello considerano parametri indiscutibili le attuali allocazioni delle risorse totalmente in mano al mercato finanziario privato, gli attuali vincoli dei patti di stabilità esterno ed interno, le attuali scelte di fiscalità generale, l’attuale costruzione in chiave emergenziale del problema del debito pubblico. L’accettazione di questi vincoli comporta, oltre a un diretto peggioramento della qualità della vita delle persone in termini di diritti, reddito e servizi, la consegna al mercato dell’acqua e dei beni comuni e la progressiva scomparsa degli enti locali, espropriati delle loro funzioni e del loro ruolo di rappresentanti degli abitanti di un territorio e trasformati in luoghi di controllo sociale di comunità frantumate. La domanda diventa di conseguenza : come e attraverso quali strumenti costruire una campagna contro i vincoli del patto di stabilità e per una diversa ed equa allocazione delle risorse a livello territoriale e nazionale? Come costruire una campagna per la riappropriazione delle risorse -250 mln/euro- gestite privatisticamente dalla Cassa Depositi e Prestiti?
13. Un ulteriore nesso è il terreno dei beni comuni come ambito di produzione di valore da parte del capitale. In questo processo si mettono in produzione quelli che sono beni essenziali per tutti noi e i connessi servizi che dovrebbero essere garantiti, a partire dall’acqua e dal servizio idrico.
Ne deriva una sottrazione costante di diritti e garanzie con una conseguente precarizzazione generale dell’intera vita delle persone. Se fino a ieri questo processo era evidente nel “sud” del mondo, oggi si palesa anche nel “nord”, dove le strategie neoliberiste divengono obbligatorie.
E’ dunque legittimo chiedersi: quali sono le connessioni, le alleanze e gli strumenti condivisi anche con altre lotte in difesa dei beni comuni per approfondire la capacità di lettura e conseguente attivazione per bloccare il processo stesso?
14. Anche il nesso con il mondo del lavoro deve fare un salto di qualità. Non solo perché, come movimento per l’acqua, abbiamo sempre sottolineato come i tre poli della battaglia per la ripubblicizzazione dovessero gravitare intorno a chi produce il servizio (i lavoratori), a chi ne usufruisce (gli abitanti) e a che ne è garante (gli enti locali), ma anche perché ciò che, con l’alibi della crisi, sta investendo l’acqua, i beni comuni e i servizi pubblici locali, è anche ciò che sta investendo il mondo del lavoro, con drastiche perdite di diritti, reddito e democrazia.
Nella nostra esperienza, laddove si è riusciti a creare un legame diretto con i lavoratori del servizio, l’intreccio si è sempre dimostrato di grande fertilità reciproca. In questo senso, ciò che ora occorre chiedersi è come e attraverso quali strumenti rendere più efficace la relazione tra movimento per l’acqua e mondo dei lavoratori dell’acqua e dei servizi pubblici?
15. Alcune riflessioni e molte domande : è questo il senso di queste pagine maturate tra noi e che inviamo a tutto il movimento per l’acqua, con l’unico scopo di aiutare la discussione collettiva in un momento dirimente per avviare la nuova fase del nostro percorso. Un movimento che ha ridato speranza al nostro Paese e da cui, in un momento di grande difficoltà come quello che stiamo attraversando, tante e tanti si aspettano, se non risposte esaustive, sicuramente una discussione all’altezza dell’esperienza collettiva maturata.
Marco Bersani, Valter Bonan, Andrea Caselli, Evasio Ciocci, Renato Di Nicola, Tommaso Fattori, Cristiana Gallinoni, Vittorio Lovera, Corrado Oddi, Mariangela Rosolen