Riforma del diritto societario e società a partecipazione pubblica
Torino 14.5.04 - Testo non corretto della relazione del prof. Niccolò Abriani
Straordinario di Diritto commerciale nell’Università di Foggia
Docente di Diritto commerciale nell’Università Bocconi di Milano
Preside Facoltà di Economia di Foggia
1. Questo intervento richiede una duplice premessa. Innanzi tutto un ringraziamento agli organizzatori per questa occasione di confronto e di comune valutazione di alcune delle principali novità della nuova disciplina delle società di capitali, entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno, e in particolare dei riflessi che essa ha determinato – o potrà determinare, in relazione alle diverse opzioni seguite in sede di adeguamento degli statuti – sulle società di capitali a partecipazione pubblica.
Si tratta invero per chi vi parla di un’occasione di confronto tanto più preziosa in quanto – e vengo così alla seconda premessa – devo confessare di nutrire molti dubbi sulla impostazione nettamente antiprivatistica che ispira idealmente le associazioni che hanno organizzato. Sono dunque qui anche per ricevere spunti rispetto ad un atteggiamento che confesso scevro da generalizzazioni, e attento piuttosto alle soluzioni in concreto più funzionali a coniugare gli obiettivi di efficienza dell’impresa societaria con le esigenze della società civile in cui opera la società stessa, in relazione all’oggetto sociale, e dunque al tipo di attività che la società esercita da un lato e al contesto socio-economico e politico nel quale essa ha sinora operato. In ciò forse anche condizionato da esperienze di società municipalizzate o a partecipazione regionale pressoché totalitaria delle aree in cui insegno e ho ruoli di responsabilità, che presentano tuttora caratteri di sottogoverno clientelare, e rispetto alle quali elementi privatistici e apporti manageriali costituirebbero un positivo segnale di rottura e di sviluppo dell’economia meridionale.
La posizione assolutamente interlocutoria assunta in vertice spiega – e giustifica, spero – il carattere squisitamente tecnico del mio intervento, nel quale cercheremo di valutare insieme quali sono le novità già entrate in vigore, sotto quale profilo possono incidere sulla struttura organizzativa delle società a partecipazione pubblica, e in quale misura possono valorizzare le esigenze di partecipazione democratica rispetto alla gestione dei servizi essenziali che sono espresse dal movimento che mi ha invitato quest’oggi. Al tempo stesso si cercherà di segnalare le insidie che possono nascondersi, sempre da questo angolo prospettico, negli imminenti adeguamenti statutari, distinguendo i rarissimi adeguamenti davvero necessari rispetto agli ulteriori interventi volti a spostare in senso ulteriormente dirigistico-manageriale l’ago della bilancia decisionale della gestione delle società a partecipazione pubblica e che potrebbero essere introdotti più o meno surrettiziamente attraverso l’espediente di adeguamenti che per la stragrande maggioranza, ripeto, sono assolutamente facoltativi e discrezionali, per considerare infine, in senso opposto, quali opportunità schiude la riforma per introdurre elementi di maggior controllo, trasparenza e democrazia nella gestione delle società a partecipazione pubblica.
2. Fatte tali premesse, procederei a una carrellata preliminare, di carattere inevitabilmente descrittivo, sulle novità che sono già entrate in vigore; e ciò anche per fugare il ricorrente equivoco che considera rinviato l’effettivo impatto della riforma a fine settembre, ovvero al termine indicato dalle disposizioni di attuazione per l’adeguamento degli statuti. Si tratta di un’impressione fallace, giacché, come ora vedremo, gran parte degli istituti novellati trovano già immediata applicazione anche alle società pubbliche.
Una seconda premessa metodologica di carattere generale è che si utilizzerà per semplicità e per brachilogia un tono assertivo con riferimento a istituti che richiederebbero viceversa un uso sistematico del condizionale, descrivendosi territori che non hanno ancora una cartografia ufficiale: a comporre lo scenario della nuova disciplina manca ancora in gran parte il formante dottrinale (degli studiosi), appena abbozzato, e manca del tutto il formante giurisprudenziale, entrambi fondamentali per precisare l’effettiva portata e l’interpretazione delle nuove norme.
Ancora un’ultima precisazione, che mi sembra particolarmente opportuno fare nei confronti di interlocutori di ispirazione progressista: sarebbe a mio modo di vedere particolarmente sbagliato vedere in questa riforma unicamente l’espressione di una ideologia iperliberista che trova oggi una sua consacrazione in norme ispirate a una logica di esasperata deregulation, come da alcuni è stato, a mio modo di vedere erroneamente, tratteggiato. Certo, queste norme hanno un dark side, rappresentato dalle norme penali, che con una inversione logica della sequenza delle norme sono state con gran fretta, per ragioni sin troppo note, emanate e licenziate nell’aprile del 2002, quindi pochi mesi dopo la legge delega. Quello che doveva essere il tassello finale delle nuove regole, dei nuovi assetti di controllo, la struttura organizzativa, dei nuovi strumenti finanziari delle società di capitali invece è stato anticipato con l’anteposizione del carro ai buoi, con la sostanziale depenalizzazione di reati di grandissimo impatto sulla comunità degli investitori e risparmiatori, ma anche sulla efficienza gestionale del sistema societario italiano e sulla sua affidabilità.
Ma al di là del merito, evidentemente censurabile, di quelle norme nella stragrande maggioranza, il metodo è veramente singolare, tutti i reati introdotti e riscritti sono stati pensati per un sistema nel quale non esistevano i modelli alternativi di amministrazione controllo, tutti i reati sono riferiti a amministratori e sindaci, o direttori generali, mentre invece vedremo che ci possono essere delle S.p.A. in cui non esistono consiglieri di amministrazione e non esistono sindaci, perché le società che adottano il sistema dualistico hanno solo consiglieri di sorveglianza e consiglieri di gestione con una applicazione dunque attraverso la figura della fattispecie di fatto, facendo rientrare con difficoltà dalla finestre, fattispecie incriminatrici che dovevano invece evidentemente riferirsi a tutte le ipotesi alternative.
Ma se questo dark side è noto, censurato ed è fuori anche dal tema attuale di questa nostra conversazione, la riforma presenta aspetti che possono piacere di più o di meno ma nella sua stragrande maggioranza offre delle nuove opportunità e recepisce esigenze non solo causticamente o strumentalmente enunciate dagli operatori, ma obiettivamente avvertite per un più moderno e più efficiente sistema di governance complessivo dell’impresa azionaria e delle società di capitale in generale. Da questo punto di vista costituisce un passo avanti e una razionalizzazione della disciplina e offre delle opportunità, non sempre, lo vedremo parlando del consiglio di sorveglianza, adeguatamente prefigurate dalla riforma, ma che con un opportuno intervento statutario possono schiudere scenari nuovi.
3. Fatta questa premessa inizierei a segnalare alcune delle novità della riforma seguendo l’ordine del codice civile per poi soffermarci sui modelli di gestione nell’spa e nell’s.r.l. Se c’è un grande assente nella discussione dell’impatto della riforma sulle società pubbliche questo è rappresentato dalle società a responsabilità limitata. Ciò vale naturalmente non già per le società che pretendono di far appello al mercato del capitale di rischio, che sono o vorrebbero essere quotate ai mercati regolamentati, ma per molte altre imprese di gestione e di servizi di reti pubbliche, per le quali la s.r.l. potrebbe rappresentare la forma che meglio si attaglia anche alle esigenze espresse dagli organizzatori di questo incontro.
3.1. Vediamo le novità in una carrellata molto rapida per poi soffermarci sui sistemi di gestione. Una prima novità è rappresentata dalla possibilità, ripeto che parliamo sempre dal primo gennaio di quest’anno, di costituire le società di capitali e dunque anche la società per azioni con atto unilaterale, come prevede l’art 2328.
Qui abbiamo due elementi di novità, innanzitutto la possibilità di costituire ab origine, con atto unilaterale, la società, che può essere proprio per gli affidamenti in house: l’altra novità che avrebbe altrimenti paralizzato il 113 quarto comma. Insomma la nuova norma sugli affidamenti in house è legata al superamento della regola che sino a ieri prevedeva che quando tutte le azioni risultano appartenere a un unico soggetto, questi, in caso di insolvenza risponde illimitatamente delle obbligazioni sorte nel periodo di appartenenza totalitaria delle azioni. Regola che valeva anche per le srl quando l’unico socio era un ente non una persona fisica, quindi era un’altra società o era un ente di diritto pubblico o privato, e questo naturalmente poneva un limite di carattere generale perché proprio la disciplina imperativa sul regime della spesa pubblica precludeva fino a oggi, e tuttora preclude per la società di persone agli enti pubblici, l’assunzione della veste di socio a responsabilità non limitata, come era l’unico azionista o l’unico quotista prima della riforma.
Un’altra novità, che però verosimilmente non dovrebbe coinvolgere le società a partecipazione pubblica, è costituita dalla possibilità che spa o srl acquistino la veste di socio anche illimitatamente responsabile in società di persone. Questa è una possibilità che ora prevede la norma (non era consentito neppure nelle vesti di accomandante e di accomandita semplice, secondo l’interpretazione giurisprudenziale fino alla riforma). Oggi è consentito e siccome la responsabilità dell’ente è pur sempre limitata al conferimento nella società madre, se la figlia è una società di persone questo non dovrebbe essere in contrasto con la disciplina speciale sulla spesa pubblica che richiede la preventiva individuazione dei limiti della responsabilità a cui va incontro l’ente pubblico.con l’investimento in sede di conferimento di acquisto di partecipazione alle società di capitali
Questa è una prima novità che ha un suo impatto applicativo, cioè la possibilità di istituire una società con atto unilaterale e di rimanere poi unico socio. Quindi anche clausole che consentono il riscatto della partecipazione del privato da parte del pubblico non incontrano dal primo gennaio dell’anno in corso quella remora fondamentale che era connessa all’assunzione delle responsabilità illimitata nel momento in cui venivano acquisite le intere partecipazioni.
3.2. Proseguendo nell’ordine, abbiamo la nuova disciplina dei patti parasociali che pone dei limiti di durata quinquennali e per le società aperte, impone altresì obblighi di trasparenza che si affiancano a quelli più rigorosi previsti per le quotate. Da questo punto di vista sono norme che trovano applicazione nei confronti dei patti parasociali che intercorrono tra socio privato e socio pubblico, la cui stipulazione è talvolta imposta addirittura dalla legge. La riforma offre così l’occasione per ripensare alla portata e alla legittimità effettiva di questi patti parasociali cosi come di clausole statutarie che un domani - in particolare nelle srl - potrebbero squilibrare il rapporto tra proprietà e controllo gestionale sulla società.
Sovente i patti parasociali pur in presenza di società a prevalente partecipazione pubblica, accordano una serie di prerogative al socio di minoranza privato tali da introdurre forme di cogestione paritaria nella gestione della società. E questo, a mio modo di vedere, non è compatibile con le norme che prescrivevano e in parte ancora prescrivono, un certo assetto proprietario. A fronte cioè di norme che prevedono la necessaria maggioranza pubblica nell’assetto proprietario di determinate società per azioni, o a responsabilità limitata, a fronte di deliberazioni e di norme di regolamentazione interna, comunale, pur sempre vincolanti rispetto alla struttura della società a cui partecipa l’ente pubblico. La previsione di patti parasociali che consentano al socio privato di designare sempre, e comunque in termini di sostanziale irrevocabilità per il pubblico, l’amministratore delegato, o la previsione dell’obbligo di definire le scelte vere di indirizzo strategico, e spesso quelle imprenditoriali in senso stretto, addirittura con il voto e con il veto del socio privato, questo a mio modo di vedere è di dubbia legittimità rispetto a un assetto normativo regolamentare che preveda la maggioranza pubblica. Tanto più nel nuovo assetto ove dei soggetti delle società private dovessero entrare con strumenti finanziari in una società a partecipazione interamente pubblica in affidamento in house
3.4. Venendo ancora su altre novità di carattere generale, la riforma prevede la possibilità di attribuire in modo non proporzionale le azioni o le quote rispetto all’ammontare dei conferimenti. Questa è un’opportunità di cui potrebbe avvalersi l’ente pubblico, cioè è possibile ora prevedere che sebbene un socio conferisca 60 e un altro 40, le partecipazioni siano assegnate in modo diametralmente opposto cioè il socio che ha conferito 60 potrebbe avere il 49% del capitale mentre il socio che ha conferito 40 potrebbe avere il 51% del capitale. Questo basta prevederlo per statuto e naturalmente è al tempo stesso un’opportunità per l’ente pubblico e un serio rischio ove naturalmente di questa possibilità di assegnazione non proporzionale delle azioni o di attribuzione non proporzionale dei conferimenti ci si avvalga a favore del soggetto privato. E questo tanto in sede di costituzione quanto in sede di aumento di capitale.
3.5. Un’altra novità che può avere un impatto importante sugli enti pubblici riguarda la possibilità di emettere strumenti finanziari non azionari forniti di diritti patrimoniali e anche di diritti amministrativi escluso solo il voto nell’assemblea generale Art. 2346 ultimo comma. Questi strumenti finanziari possono vedersi riconosciuti, come precisa l’ultimo comma del 2351, anche dei diritti nella loro assemblea speciale, di consultazione o anche di veto rispetto a deliberazioni dell’assemblea generale, o il diritto di designare un componente indipendente del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale, o se la società adotta il sistema dualistico, del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione direttamente.
E’ questa sotto vari aspetti un’opportunità che schiude delle possibilità in senso democratico partecipativo, e permette anche una nuova gestione degli strumenti finanziari, in particolare di quelli che vengono dati a fronte non di un apporto capitale, ma a fronte di un apporto che va nel patrimonio netto della società, ma che non è assoggettato a quel vincolo di indisponibilità che è proprio del capitale. Da questo punto di vista ad esempio l’ente pubblico che voglia concedere in uso determinate reti, ma prefigurando già a livello statutario il diritto alla restituzione delle reti stesse, può farlo attraverso questo apporto a fronte del quale riceve strumenti finanziari. Se viceversa fosse configurato come apporto in capitale, anche il conferimento in godimento, il conferimento di proprietà è comunque soggetto alle remore previste per i beni demaniali, ma il conferimento in godimento delle reti precluderebbe, se fosse un vero conferimento in senso proprio, cioè a capitale, precluderebbe la restituzione fino allo scioglimento della società. Rimarrebbe l’uso a favore della società stessa, salvo il diritto alla liquidazione della quota nel valore corrispondente.
Invece così c’è la possibilità anche di fornire apporti che forse difficilmente potrebbero essere oggetto della stima peritale, o si vorrebbe che fossero oggetto della stima peritale ove conferiti e quindi stimati ai sensi del 2343. Penso anche a determinate prerogative di tipo amministrativistico che peraltro possono essere oggetto e spiegare la diversa attribuzione non proporzionale delle azioni: perché il Comune che conferisce 40 può vedersi statutariamente assegnato il diritto di avere il 60 mentre il privato che ha messo il 60 riceve soltanto il 40? Perché evidentemente il Comune assume degli impegni nei confronti della società che non possono andare a capitale, non possono essere oggetti di conferimento in senso proprio, ma che giustificano questa attribuzione diversa.
3.6. Sempre in tema di azioni ora si prevede la regola di atipicità delle categorie azionarie. Fino a ieri avevamo azioni a voto pieno, le azioni ordinarie, azioni a voto limitato, che votavano soltanto nell’assemblea straordinaria e dovevano essere privilegiate. Oggi invece si prevede una gamma di ipotesi alternative quanto mai ampia. Da un lato sono legittimate definitivamente (vi erano stati dei dubbi in giurisprudenza sino a ieri che potevano essere una spada di Damocle per l’ente pubblico), la postergazione nelle perdite o comunque la diversa incidenza nelle perdite. Noi ad esempio, nei nostri regolamenti sugli spinoff in generale, sulle partecipazioni delle Università in società private, la condizione per la partecipazione dell’ente o ateneo è che le azioni assegnate all’ateneo godano del diritto di postergazione nelle perdite, nel senso che eventuali perdite incideranno dapprima sugli altri azionisti, in particolare i privati, o dipendenti e successivamente solo per la parte residua sulle azioni di categoria intestate all’ente pubblico.
Ma si prevedono ipotesi anche sul voto. Azioni non soltanto a voto limitato, ma a voto limitato a particolari argomenti, per cui si potrebbe prevedere un diritto di voto su tutto salvo la nomina degli amministratori. Evidentemente questa è una clausola insidiosa per l’ente pubblico, ma si potrebbe prevedere invece un’assenza (di diritto) di voto su qualunque questione che non sia un aumento di capitale, con esclusione o limitazione al diritto di opzione. Oppure azioni a voto condizionato al verificarsi di certe circostanze.: una fusione o scissione, o altre operazioni straordinarie che incidano sulle rispettive percentuali di partecipazione a capitale, Si possono prevedere delle soglie di voto massimo, purché la società non sia quotata o aperta, o dei meccanismi di voto scalare, e questo di nuovo può essere insidioso per l’ente pubblico, perché evidentemente se può essere positivo in una logica di public company che però dovrebbe riguardare proprio le società aperte e le quotate per le quali non è consentito questo meccanismo. In società a ristretta base azionaria potrebbe essere insidioso per l’ente pubblico perché collocare una quota massima di voto al 40% significa parificare l’ente pubblico che ha il 51% all’ente privato col 49% e l’ente pubblico col 60 al gruppo privato con il 40, perché se la soglia è 40% per entrambi si creerebbe una situazione fifty-fifty che di nuovo formalmente è compatibile alla prescrizione normativa per cui la maggioranza dei capitali deve essere pubblica, ma nella sostanza è incoerente con quella premessa e dunque di dubbia legittimità con riferimento a questa disciplina speciale. Noi abbiamo pur sempre una disciplina speciale ancora novellata di recente nel Testo unico degli enti locali, e non è derogatoria rispetto alla precedente disciplina speciale secondo i principi generali dell’ordinamento.
Ancora è possibile prevedere statutariamente per tutte le spa la clausola di blocco, purché non a una durata ultraquinquennale. Cosa che si poteva prevedere fino a ieri solo in sede di patto parasociale. Ora invece si può prevedere la intrasferibilità delle azioni, non l’impegno a non trasferire le azioni personalmente assunto al di fuori dello statuto dai soci, ma la intrasferibilità delle azioni per cinque anni dalla costituzione della società per la fase di start up o cinque anni dall’introduzione della clausola stessa o dall’ingresso del nuovo socio.
Questo è uno di quei casi, vale la pena di segnalarlo, perché ci sono molte società pubbliche in forma di srl dove c’era il blocco statutario che il nuovo Art. 2469 ricollega al blocco statutario nell’srl il diritto di recesso di tutti i soci, quindi, è uno di quegli adeguamenti che vanno fatti entro il 30 settembre. In quelle società il socio privato avrebbe diritto di recedere dal primo ottobre con quella quota significativa cospicua di liquidazione e altrettanto potrebbe fare simmetricamente l’ente pubblico.
4. Direi di non addentrarci in altri profili più minuti se non per segnalare che le norme che ci erano familiari, in generale sulle società a partecipazione pubblica, negli articoli dal 2458 a 61, oggi sono anticipate nella sistematica del codice negli articoli dal 2449 a 2451. Non ci sono variazioni di sostanza se non il rinvio alle leggi speciali, che dato l’affastellato formarsi di questa legislazione speciale nel corso degli ultimi anni in particolare, allontana ulteriormente dal modello codicistico le società previste in quel Testo unico degli enti locali.
Ma veniamo all’aspetto che mi pare più interessante e che riguarda la struttura organizzativa delle società. Da questo punto di vista l’ottimistico depliant di quest’oggi prefigura con una visione in se favorevole, nel sistema dualistico di amministrazione e controllo delle spa, una struttura con consiglio di sorveglianza con maggiori poteri e compiti di supervisione e indirizzo, composto non solo da soci ma anche da altre figure rappresentative della società civile e del mondo del lavoro, dell’utenza, dello stesso movimento impegnato contro la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali.
Ora si tratta di vedere se è davvero cosi, nella legge, se e in che limiti possa essere cosi nella struttura statutaria che può essere modellata con queste finalità nelle società a partecipazione pubblica.
Prima un passo indietro per dare un quadro generale della nuova spa e della nuova srl perché gli artt. 113, 116 ancora il 115 sulla trasformazione delle aziende speciali, del Testo unico degli enti locali, fanno riferimento indistintamente a società di capitali, quindi tanto un spa tanto un srl. L’opzione della spa è vincolata soltanto per l’ipotesi di società che si intenda destinare a una partecipazione anche del mercato, in quanto strutturalmente aperta, un domani quotata. Da questo punto di vista nella spa tre sono le alternative rispetto alla legislazione vigente fino all’anno scorso. I tre modelli sono innanzitutto quello tradizionale che, da quanto si sta vedendo in questi primi mesi di attuazione, rimarrà il modello non solo suppletivo, ma anche maggiormente utilizzato nella prassi societaria azionaria italiana. Cioè il modello con un amministratore unico o più spesso un consiglio di amministrazione, e il tradizionale organo di controllo, il collegio sindacale.Il quale però come regola legale, non ha più le funzioni di controllo della contabilità, della regolare tenuta della contabilità da parte degli amministratori - che sono esternalizzate a favore di un revisore esterno - ma concentra la sua funzione sul controllo non solo della generale corretta gestione da parte degli amministratori, ma - e qui il legislatore è stato molto più pregnante, ecco tra le novità positive che vanno segnalate - vi è una più precisa individuazione dei poteri, dei doveri, degli amministratori delegati, del consiglio nella sua interezza, i flussi di informazione che devono dall’uno all’altro sistematicamente pervenire, i diritti di informazione di ciascun consigliere sull’operato degli amministratori, nei rapporti tra sindaci e amministratori. Come preside di una facoltà di economia, naturalmente, mi fa piacere constatare come il legislatore abbia recepito principi delle scienze aziendalistiche: emblematica la rilevanza attribuita all’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della spa. La predisposizione di un adeguato assetto amministrativo, organizzativo, contabile è il primo obbligo degli amministratori esecutivi, e la valutazione dell’adeguatezza nel merito di quel sistema è il primo dovere del consiglio nella sua collegialità, e la vigilanza su quel sistema e sul suo concreto funzionamento, è il compito su cui si appunta la prima funzione a responsabilità dell’organo di controllo interno del collegio sindacale o degli altri sistemi.
Questo è il sistema tradizionale che rappresenta anche la base normativa per tutti gli altri sistemi e rispetto a questo sistema, cosi come negli stessi identici termini, nel sistema cosiddetto monistico di cui parleremo per ultimo, il legislatore ha operato una svolta in senso direttoriale. Il nuovo 2380 bis scolpisce il principio per cui la gestione di una spa è di esclusiva spettanza degli amministratori e a questo principio fa da pendant la ridefinizione delle competenze dell’assemblea. Fino a ieri l’assemblea oltre alle competenze istituzionali sue proprie, sempre eccezionali erano, perché la regola è che tutti gli atti inerenti all’oggetto sociale, ogni scelta andasse presa dal consiglio, dall’organo amministrativo, salvo diversa previsione statutaria e lo statuto poteva affiancare alle competenze di base la nomina e la revoca degli amministratori dei sindaci, la determinazione dei loro compensi, l’approvazione del bilancio, poteva prevedere una competenza dell’assemblea a deliberare sugli altri atti inerenti alla gestione che fossero sottoposti volontariamente al suo esame dagli amministratori, o rimessi alla sua competenza dallo statuto. Lo statuto poteva cioè sottrarre dall’attico degli amministratori e dare nel cortile dei soci, competenze gestorie qualificanti. Se ora confrontiamo quella norma con il nuovo 2364 n°5 vediamo che ciò che è consentito è molto meno. L’assemblea ordinaria può eventualmente deliberare sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti.
Si chiamano, dal genitivo oggetto, “atti gestione”, siamo passati a un genitivo soggettivo “atti degli amministratori”, ogni atto di gestione è un atto la cui paternità e responsabilità è degli amministratori. Ciò che si può prevedere ed è opportuno prevedere, negli statuti delle pubbliche, è quella eventuale autorizzazione per scelte che incidono nella sostanza, che implicano magari una modificazione rilevante dell’assetto, dello stesso oggetto sociale della società. Allora da questo punto di vista, modificazione sostanziale perché quella formale richiederebbe pur sempre il passaggio dalla assemblea straordinaria col diritto di recesso per chi non è d’accordo. Però stabilire di dare in gestione a altri l’azienda, cioè darla in affitto, è una decisione fondamentale che, in assenza di clausole statutarie, (non essendoci più la teoria degli interessi primordiali che vanno sottoposti ai soci), oggi è di esclusiva spettanza degli amministratori. La clausola che rimetteva la competenza dell’assemblea in senso proprio facendo degli amministratori degli esecutori di quella scelta, è una clausola non più legittima, beneficia del regime di ultrattività fino al 30 settembre, diventa inefficace dal primo ottobre.,
Si tratta allora, statuto per statuto, di intervenire e tradurre in forma di autorizzazione quantomeno dell’assemblea quelle clausole così frequentemente ricorrenti, e opportunamente ricorrenti, per far andare in assemblea il rappresentante dell’ente, in una dialettica di maggior trasparenza e confronto democratico, che viceversa le penombre del consiglio di amministrazione non garantiscono.
Rispetto a questo quadro si potrebbe andare oltre e immaginare invece l’opzione a favore della srl, per una serie di altre ipotesi. E’ vero che l’affidamento in house richiede la partecipazione pubblica al 100%, e li forse siamo stati più realisti del re, perché la decisione è più consonante alle impostazioni di chi mi è affianco, certo non è quello che imponeva la giurisprudenza comunitaria la quale si sarebbe accontentata di un controllo di diritto purché effettivo e non derogato da clausole o patti parasociali contraddittori. Ma in quell’ambito è vero che il controllo è totalitario al 100%, però le scelte di gestione di quella spa sono tutte fatte nell’organo amministrativo o addirittura con il doppio passaggio del consiglio di gestione se siamo di fronte a un sistema dualistico. E proprio perché la società è strutturalmente chiusa perché controllata al 100%, francamente mi parrebbe più funzionale l’utilizzo dell’srl, (che ancora sconta l’idea di una figura minore ma che è una idea del tutto inappropriata basti pensare che la quinta società italiana per fatturato è una srl unipersonale ed è la ESSO Italia srl, ha sede ha Genova, ed ha un fatturato che non ha quasi nessuna delle quotate italiane). Da questo punto di vista l’srl invece vede una polarizzazione opposta, non in senso manageriale, ma in senso proprietario. Tanto per incominciare l’Art. 2479 secondo comma numero 5 prevede che tutti quegli atti di interesse primordiale, tutte le decisioni che incidono in misura rilevante, anche la stipulazione di certi contratti, l’acquisizione di un certo brevetto non in esclusiva, che finisce per rendere la nostra società pubblica al 100%, di fatto controllabile o condizionabile dal privato (anche se non ha nemmeno una quota di quella società) ad es. attraverso la concessione di quella licenza non in esclusiva. Questo è un problema di cui occorre anche farsi carico. Bene: la stipulazione di questa decisione, che è una decisione di un contratto, di licenza, di un brevetto non esclusivo, revocabile dal privato, può essere fonte di responsabilità degli amministratori, ma certo in una spa quella è una decisione che pur essendo cosi vitale per la società, è di competenza degli amministratori. Se c’è un amministratore unico: dell’amministratore unico, nella sua dialettica interna magari col direttore generale.
In una srl invece, quelle decisioni sono di esclusiva competenza dei soci in assemblea straordinaria, in quanto equiparata a una delle modifiche formali più gravi dell’atto costitutivo perché accorda (nel nostro caso al 100% non c’è) al socio dissenziente il diritto di recedere, come se si cambiasse l’oggetto sociale. Allora da questo punto di vista il 2479 secondo comma numero 5 già pone un limite all’autonomia statutaria nello spostare dalla piazza dei soci all’attico degli amministratori perché abbiamo visto che nell’spa l’ascensore non può andare dall’alto verso il basso, se non in forma di mera autorizzazione. Nell’srl quella è una questione per cui non parte l’ascensore verso l’alto, ma lo decidono i soci. Lo decide il comune con il suo rappresentante in quel momento in assemblea, con le responsabilità politiche che ne derivano, di immediata percepibilità, anche da parte dell’opinione pubblica. Ma ancora il 2479 primo comma consente senza limiti di sottrarre competenze agli amministratori e attribuirle all’assemblea. Senza alcun limite.
Quello stesso spostamento del baricentro che è vietato nell’spa, qui è assecondato e consentito senza limiti. Certo se stabilissimo una clausola per cui gli acquisti per un valore superiore a 5000 euro vanno decisi dall’assemblea, (che è quella che ho nello statuto del mio ateneo, per cui io come preside o come giunta non possiamo assumere decisioni superiori a 5000 euro), quella stessa clausola potrebbe essere trasferita allo statuto della nostra srl o anche di una srl con fatturati da capogiro. Inoltre nell’spa abbiamo non solo questioni che potevano essere tolte dall’attico e spostate nella piazza dei soci ma anche questioni tradizionalmente dei soci che sono state spostate dalla legge, o la legge consente di spostare nell’attico degli amministratori. Una è l’emissione del prestito obbligazionario, fino a (...)
... è una decisione che se non è previsto diversamente nell’spa è presa dall’amministratore, non solo, ma non è materia indelegabile, quindi potrebbe essere delegata e quindi è una scelta che viene fatta dall’amministratore delegato d’accordo col direttore finanziario della società e con gli investitori che aiutano il collocamento dei bond, senza neppure sentire il CDA, senza tantomeno sentire l’assemblea, ne in sede ordinaria ne in sede straordinaria.
Oggi la nuova srl prevede la possibilità di emettere titoli di debito purché siano garantiti dagli amministratori professionali e li è meglio prevedere una regola di competenza assembleare. Non solo, ma una serie di competenze, ve lo segnalo perché ora ci saranno gli adeguamenti statutari e con l’occasione di adeguare il pochissimo che deve essere adeguato, il rischio serio è che si introduca, invocando a torto la riforma, si introduca quello spostamento statutario di potere dall’assemblea agli amministratori. Se leggiamo la nuova disciplina del 2365 secondo comma e 2443 capoverso, vediamo innanzitutto l’aumento di capitale. Voi replicherete che già ieri si poteva delegare l’aumento di capitale agli amministratori. La novità è che ai sensi del 2443 si può delegare agli amministratori l’aumento di capitale con esclusione o limitazione al diritto di opzione, che vuol dire un domani incidere sull’originario rapporto percentuale tra socio pubblico e socio privato, cioè ci può essere una delibera del CDA, che per cinque anni può far pendere sulla società, e sul socio pubblico in particolare, la spada di Damocle di un aumento di capitale tutto destinato a un altro ulteriore privato, che squilibri i rapporti da 60 a 40, poniamo ai due privati complessivamente il 70 e 30. Cioè può il consiglio di amministrazione decidere qual è l’interesse sociale sul cui altare immolare il diritto dei soci? basta introdurre una clausola!. E questa è una delle clausole che andrà vista con maggior attenzione da parte degli enti pubblici in sede di adeguamento. E’ una di quelle opportunità da non prendere. Le altre possibilità riguardano modifiche anche molto cospicue: le fusioni per incorporazione di società interamente controllate o controllate almeno al 90%, le fusioni semplificate del 2505 e 2505 bis, il trasferimento e la sede nella Repubblica italiana, di società per azioni italiane può essere delegato, ma rimesso per sempre, qui non c’è neppure il termine di cinque anni, è la competenza del CDA che lo può decidere senza sentire i soci in assemblea. E poi abbiamo anche altre modifiche, gli adeguamenti a future norme, magari non solo gli adattamenti a norme obbligatorie, ma anche adeguamenti a nuove norme che un domani intervenissero e come adeguarsi potrà sceglierlo il CDA se c’è una clausola che lo autorizza. Ma anche clausole che sembrano solo tecniche, la clausola relativa al potere di firma, al potere di rappresentanza, cioè la clausola che individua la carica sociale alla quale si collega il potere di rappresentanza, è una clausola molto delicata nella quale spesso si prevedono meccanismi di tutela reciproca dei soci, per cui se si prevede che il Presidente sia espressione dell’ente pubblico e l’amministratore delegato dell’ente privato, si prevede per gli atti più importanti la doppia firma di entrambi. Modificare col voto favorevole di tre consiglieri contro due magari, quella clausola e consentire all’amministratore delegato e al presidente di aver potere di firma totalmente disgiunti è una decisione che di nuovo i consiglieri potranno decidere tra di loro ove vi sia una clausola che li autorizzi. Anche questo è un profilo particolarmente insidioso, che sconsigliamo, in queste settimane e mesi di adeguamenti degli statuti delle società private, anche ai soci di controllo privati. Tutti gli altri soci di controllo privati, le altre clausole che tolgono all’assemblea per dare al CDA, le vogliono inserire tutte, anche perché sostituendo quella che è una deliberazione assembleare alla deliberazione consiliare, è sempre un atto unilaterale, plurisoggettivo riferibile tecnicamente e giuridicamente alla società, ma soggiace a una disciplina di impugnativa profondamente diversa. Di regola il socio non è legittimato a impugnare le deliberazioni del CDA, se non quando proprio lo ledono direttamente nei suoi diritti, ma sono ipotesi rarissime. Ad es. quando nella cooperativa edilizia mi saltano dall’ordine e fanno passare quello che sta dietro, mentre io avrei diritto di passare prima nell’assegnazione dell’alloggio. Questi sono i casi di scuola, i casi rari in cui il socio ha diritto e allora spostare la questione dall’assemblea al CDA vuole dire sottrarre all’ente pubblico socio (o in generale ai soci di minoranza), l’impugnativa della decisione.
Nell’srl su qualunque questione del socio che abbia il terzo del capitale, e il socio pubblico anche quando è in minoranza il terzo del capitale ce l’ha sempre, il socio può su qualunque questione, qualunque sia stata la scelta nello statuto a favore di un regime più manageriale o proprietario, può pretendere che gli amministratori non assumano alcuna decisione e portare la questione in assemblea. Senza considerare che ogni socio nell’srl, e questo invece è l’aspetto insidioso, può in qualunque momento, abbia l’1%, o il 90%, vi sia o meno in collegio sindacale obbligatorio, può in qualunque momento non solo chiedere informazioni, ma accedere all’intera documentazione dell’amministrazione della società.
Se ci poniamo però dal punto di vista del socio che vuole avere un monitoraggio continuo della gestione, voi sapete che l’azionista in una spa ha solo quegli irrisori poteri di controllo che gli accorda il 2421, cioè il potere di consultare i libri del 2422 numero 1 e numero 3, il libro dei soci e il libro delle adunanze assembleari, quasi nulla. Viceversa il socio di srl dal primo gennaio di questo anno ha un diritto di accesso, è davvero una sfera di cristallo per lui l’amministrazione della società, e conservare come sfera di cristallo l’amministrazione della società può essere per il socio pubblico, tanto più se ha il 100% , un modo di controllo e di monitoraggio continuo sui suoi managers e amministratori che ha nominato. Certo c’è anche l’altra faccia della medaglia, l’articolo 2476 penultimo comma, prevede che siano responsabili al pari degli amministratori, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato l’operazione gestoria che si è rilevata di mala gestio, fonte di responsabilità.
Questo però, in una prospettiva come tutti auspichiamo, di gestione corretta, limpida nella osservanza dei doveri della legge, dell’atto costitutivo della società di capitali, non dovrebbe spaventare l’ente pubblico, ma anzi dovrebbe responsabilizzarlo. Si può spostare gran parte delle scelte gestorie dall’amministrazione all’assemblea con l’intervento diretto dell’ente pubblico, un intervento responsabilizzato chiamando l’ente persona giuridica a rispondere, come se fosse un amministratore, per i danni che abbia arrecato anche a terzi, ove vi siano i presupposti delle azioni dirette del vecchio 2395 ai creditori, e soprattutto alla società. E questa azione la può far partire qualunque socio, cioè l’azione sociale di responsabilità, cioè convenire in giudizio gli amministratori e il socio che ha intenzionalmente deciso e autorizzato l’operazione insieme ad essi, per ottenere una sentenza di condanna al risarcimento a favore della società, dei danni patiti delle decisioni di mala gestio realizzate dagli uni, e intenzionalmente decise e autorizzate dagli altri. E’ una iniziativa che è rimessa alla legittimazione di ciascun socio, anche qui senza percentuali legittimanti. Mentre invece per le spa aperte è previsto il 5% di capitale, oggi il decreto Parmalat prevede il 2,5%, ma un cenno al decreto lo farei a conclusione.
Però è sempre una percentuale significativa in una spa aperta. Nelle spa non quotate e non aperte la percentuale è addirittura del 20%, un quinto del capitale, per poter far partire l’azione di responsabilità contro gli amministratori negligenti o dolorosamente responsabili di illeciti gestori.
Vediamo gli altri due sistemi molto succintamente e vediamo pregi e difetti. Il sistema attuale vede pur sempre nell’assemblea un organo sovrano, ma nel senso più formale del termine. Quella dell’assemblea nell’spa è una sovranità latente, esattamente come abbiamo visto una sovranità immanente quella dell’assemblea dei soci nell’srl. Li il socio, il quotista di controllo, ma anche sotto il profilo dell’informazione, dell’ispezione, il socio di minoranza ha una immanenza sulla gestione che può essere anche una naturale inerenza perché si può prevedere che certi soci siano di diritto amministratori. Cosa che fino a ieri non si poteva prevedere e tuttora nell’spa non si può prevedere. Si può prevedere ora nella srl la possibilità per un socio di designare un certo numero di amministratori mentre fino a ieri questa possibilità era prevista solo per il socio pubblico nell’spa ai sensi del vecchio 2458 e seguenti, 2449 ora; ed era dubbio se fosse suscettibile di estensione questa norma di applicazione.
L’assemblea ha una sovranità latente nell’spa perché pur sempre permane nel senso che è l’assemblea e quindi la proprietà, a scegliere chi amministra e a poterlo revocare in qualunque momento durante il mandato, che non può essere più che triennale, ma durante quel triennio ciascun consigliere di amministrazione può sempre essere revocato, vi sia o non vi sia una giusta causa di revoca salvo il diritto all’indennizzo, il risarcimento del danno in assenza della giusta causa. Per converso rimane ferma la regola del 2400 per i sindaci che sono sempre espressione del socio di maggioranza se quotata, almeno uno, o se il collegio si compone di almeno quattro, due sono rimessi alla nomina dei soci di minoranza. A differenza degli amministratori i sindaci non possono essere revocati se non vi è una giusta causa di revoca, deliberazione nulla, improduttiva di effetti con diritto a una tutela reale, mentre gli amministratori hanno una tutela solo risarcitoria.
Ma scegliere chi amministra, scegliere chi controlla, approvare il bilancio che gli uni hanno redatto e gli altri hanno controllato, salvo che la revisione sia affidata all’esterno, in questo quadro il potere dell’assemblea è un potere molto sfumato sullo sfondo della gestione societaria che ha invece il baricentro spostato in senso squisitamente manageriale. In questa logica, tendenzialmente imperativa per l’spa, si collocano anche gli altri due sistemi di amministrazione controllo, che da questo punto di vista non sono più democratici. Il sistema dualistico è stato introdotto per la prima volta in Germania nel 1933, siamo evidentemente in un momento non di grande afflato democratico e partecipativo. Ed era funzionale a spostare una serie di scelte che trovavano nella dialettica assembleare la loro cassa di compensazione e di verifiche, di trasparenza, di controllo, in un organo che è tutto espresso dal gruppo di comando. Perché il meccanismo è un meccanismo piramidale, si inserisce tra l’organo gestorio in senso proprio, il consiglio di gestione, un organo intermedio, il consiglio di sorveglianza. Che è nominato dall’assemblea in sede ordinaria secondo le maggioranze previste per la nomina dei consiglieri di amministrazione e tra l’altro, a differenza dei sindaci, può essere sempre revocato, vi sia o non vi sia una giusta causa di revoca. Quindi da questo punto di vista l’immanenza del socio può essere più marcata, ma di chi? Del socio di controllo, del socio di comando, non c’è nessuna norma, se non per le quotate, per cui si estende la regola dei sindaci, per cui almeno uno deve essere espresso dalle minoranze, sono sempre più di quattro, anche trentuno Ma la caratteristica del sistema tedesco è studiata per spostare in senso verticistico e introdotto con questa logica nel ‘33, perché l’assemblea dei soci rimane spogliata anche delle competenze di base, non approva più nemmeno il bilancio, che è approvato e sottoposto al consiglio di gestione e all’approvazione del consiglio di sorveglianza. Il consiglio di sorveglianza nomina e revoca in qualunque momento, vi sia o non vi sia una giusta causa di revoca, il consigliere di gestione. Il consiglio di sorveglianza vede convergere competenze che nel sistema tradizionale sono dell’assemblea dei soci, e del collegio sindacale. Ma qualcosa di più anche del collegio sindacale perché non soltanto controlla la legalità dell’operato dei consiglieri di gestione, ma li controlla e li indirizza nel merito, cioè può revocare proprio perché può revocare anche in assenza di giusta causa, può anche naturalmente revocare i consiglieri di gestione ove adottino scelte che non rispondano alle strategie aziendali immaginate dalla maggioranza del consiglio di sorveglianza. Quindi un controllo squisitamente di merito, oltre che di legalità, quello che opera il consiglio di sorveglianza.
La peculiarità tedesca è che l’organo intermedio del consiglio di sorveglianza, prima per le società che operavano nel settore del carbone e dell’acciaio, è composto per la metà da consiglieri di sorveglianza scelti dai dipendenti. Non l’hanno scelto i tedeschi, ma l’avevano imposto gli alleati all’indomani della liberazione, per le società più compromesse con il regime, le più filobelligeranti. Questa regola imposta dagli alleati alla Germania è stata estesa con lungimiranza da Adenauer a tutte le spa con un numero di dipendenti che allora era superiore a 500 e poi è successivamente sceso e l’ultima riforma lo collega da 200 a 100 dipendenti anche in relazione al fatturato.
Ed è quindi il consiglio di sorveglianza uno degli anelli fondamentali nel sistema di cogestione, che è una delle regole di democrazia economica e di partecipazione che caratterizza tutte le più importanti società per azioni tedesche.
Da noi questa scelta è stata deliberatamente esclusa, non solo non si è prevista la possibilità, ma si è negata la possibilità di introdurlo a livello statutario. Tra le cause di incompatibilità alla elezione nel consiglio di sorveglianza, sono state traslate gran parte delle cause di incompatibilità previste per i sindaci, vi è quella di essere amministratore, e qui va bene, o dipendente della società o società controllata o controllanti.
Quindi i dipendenti non possono sedere nel consiglio di sorveglianza. Voi sapete che la possibilità di adottare il dualistico, ma con partecipazione dei lavoratori, in alternativa al sistema tradizionale, è da De Gaule, dal ‘66 che è introdotta in Francia. L’hanno utilizzato il 4% delle società e tuttavia l’hanno utilizzato oltre un quinto delle società francesi quotate. Quasi tutte quelle a partecipazione pubblica hanno previsto la partecipazione dei dipendenti, cioè il dualistico con la partecipazione dei dipendenti nel consiglio di sorveglianza. Ma questa è una possibilità che qui è preclusa, quindi non è in quel senso che possiamo immaginare di adattare il sistema dualistico.
Qual è piuttosto l’adattamento in quella logica partecipativa democratica che qui è stata prefigurata? Un primo elemento è legato naturalmente alla estensione anche per le spa che adottino il dualistico, non aperte, non quotate, dei sistemi di rappresentanza delle minoranze, questo senz’altro si può prevedere. E’ vietata una designazione esogena, extrasocietaria da parte di chi non siede in assemblea, in linea di principio salvo un’eccezione importante che ora esamineremo, ma nulla vieta invece la possibilità che all’interno si preveda espressamente un meccanismo di voto per lista con percentuali legittimanti non superiori all’1 massimo 2% del capitale, perché spesso proprio percentuali elevate hanno concretamente impedito alle minoranze, anche se organizzate, di essere legittimate a partecipare con le proprie liste. Non c’è mai stato un sindaco di minoranza vero, in Parmalat, perché era previsto il 4% come quota legittimante la presentazione delle liste di minoranza per i sindaci. Ora questo è un primo elemento che rappresenterebbe, insinuerebbe elementi dialettici, si potrebbe prevedere sempre nello statuto che non solo gli amministratori vadano designati dalle minoranze, ma che gli amministratori designati dal le minoranze, rappresentino la maggioranza dell’organo interno di controllo, interno al CDA che a sua volta avrebbe delle funzioni fondamentali non solo sull’operato degli esecutivi, ma anche sulla determinazione dei loro compensi, che è un altro dei problemi delicati di trasparenza. Il fatto che ci siano la maggioranza degli amministratori designati dalle minoranze, o comunque indipendenti rispetto al gruppo di comando, potrebbe essere un ulteriore elemento di interesse. Si potrebbe far ricorso all’articolo 2346 ultimo comma e 2351 ultimo comma, che prevede la possibilità di emettere strumenti finanziari, quindi non azionari, e di accordare ai titolari degli strumenti finanziari nella loro assemblea speciale, il diritto a esprimere un amministratore indipendente. E questi strumenti finanziari potrebbero essere proprio destinati all’utenza o potrebbero essere destinati ai lavoratori. Questo lo prevede il 2349 ultimo comma, facendo cosi rientrare dalla finestra degli strumenti finanziari quella rappresentanza, anche se circoscritta a un amministratore indipendente, o a un consigliere di sorveglianza indipendente che tendenzialmente è stata preclusa dal 2399 richiamato al 2409.
E questo è un modo per adattare. Certo che al di la di questi elementi di democrazia economica che sono di per se positivi, sarebbe opportuno che vi fosse una confluenza, un dialogo serrato tra i movimenti che difendono la partecipazione pubblica e l’intervento del pubblico a tutela dell’utenza dei cittadini e della società civile e le associazioni, quelle più consapevoli e attente delle rappresentanze dei consumatori che stanno cercando di introdurre regole di democrazia economica e di rappresentanza degli investitori, dell’investimento diffuso sia come tutela successiva sia in forma preventiva, con la partecipazione diretta negli organi nevralgici della società. E siccome il testo di legge unificato è arrivato in discussione proprio in questi giorni, una riflessione anche su questi aspetti può essere particolarmente interessante, perché molte delle società municipalizzate sono società quotate, incontrano esigenze di tutela dell’utenza, di tutela del mercato. Mi sembra sbagliato contrapporre una visione mercato centrica a una visione legata invece all’utenza e al pubblico, mentre invece vi sono molti profili, se intendiamo la tutela del mercato dei risparmiatori che investono in quella società, in quel senso li mercato centrica, quelle forme di tutela e di controllo sulla gestione di origine squisitamente anglosassone per più corrette e efficienti regole di governance dovrebbero andare congiunte a queste esigenze di istanze di partecipazione pubblica. Bisognerebbe per lo meno sperimentare e esplorare fino al fondo le possibilità di un utilizzo convergente delle due prospettive.
Si certo nelle srl ora possiamo prevedere delle vere golden quote, cioè la possibilità di diritti di designazione. Da quel punto di vista sono ancora più immediati, fino a ieri non si potevano prevedere nell’srl.in quei termini, Il sistema dualistico da quel punto di vista ha per il pubblico questi vantaggi, se corretti con una designazione di amministratori, uno o due da parte delle minoranze in assemblea con meccanismo per liste, uno ulteriore come rappresentate degli strumenti finanziari dati all’utenza Allora ci troveremmo una convergenza di interessi che si troverebbe anche la sua instrinsecazione nel consiglio di sorveglianza, dove magari è una minoranza.. Però siccome il consiglio di sorveglianza ha dei termini …. e può dare linee di indirizzo strategico, li si possono prevedere dei veti a operazioni del consiglio di gestione da parte del consiglio di sorveglianza. Allora su tutte queste questioni sarebbe opportuno sperimentare ed esplorare delle soluzioni che consentissero all’ente pubblico che designa direttamente (in quanto in assemblea ha il 60%), la maggioranza dei consiglieri di sorveglianza, di mantenere il fiato sul collo dei managers, dei consiglieri di gestione, in modo più stringente. E da questo punto di vista può essere anche positivo. E invece collegare a questa rappresentanza diciamo proprietaria, azionaria, del socio pubblico, una rappresentanza della società civile attraverso magari gli strumenti finanziari, delle minoranze degli investitori, di quelli che hanno comprato sul mercato le quote delle società o anche di rappresentanze di consumatori che raccolgono deleghe per andare in assemblea e poter avere anche loro un rappresentante di lista. Allora quei tre rappresentanti potrebbero essere, e di nuovo lo statuto non vieta assolutamente di prevederlo, il comitato interno, o tre dei cinque del comitato interno, del consiglio di sorveglianza composto da nove, in cui come vedete la maggioranza è pur sempre espressa. Certo il fiato sul collo è più forte e non occorre proprio perché è un indirizzo anche politico e strategico di politica aziendale quello che da il consiglio di sorveglianza, non occorrono quei requisiti di professionalità che devono avere i sindaci, basta che uno sia iscritto nell’albo dei revisori contabili, uno su nove.
Possono davvero essere espressione di interessi diffusi, con un mandato, un indirizzo politico strategico, non solo quindi dei controllori tecnici, anzi, nel dualistico è proprio pensato in questa logica. E possono in qualunque momento revocare. Io socio di controllo se voglio revocare l’amministratore devo tanto per cominciare chiedere a lui di convocare l’assemblea che è già un elemento di empasse. Io socio pubblico se voglio revocare i consiglieri di gestione dico ai miei cinque su nove rappresentanti del consiglio di sorveglianza, di convocare immediatamente loro il loro consiglio e revocare l’indomani i consiglieri di gestione. Questo è un elemento di maggior stringenza. Tornando a quella non piena condivisione dell’impostazione di chi mi ha ospitato e lo ringrazio, concludendo ancora, ricordo tra gli aspetti negativi di questa stringente presenza dell’espressione del politico nel consiglio di sorveglianza, non necessariamente tecnico, ed inoltre v anche detto che molte aziende pubbliche stanno pensando con favore al consiglio di sorveglianza, diciamocelo, perché aumenta il numero delle poltrone e delle poltrone disponibili. Perché prima si poteva immaginare un consiglio di amministrazione con cinque consiglieri e un collegio sindacale con tre e, tanto per cominciare i sindaci dovevano essere tre tecnici sotto ogni profilo, adesso mi faccio un consiglio di sorveglianza con tredici in cui, salvo uno, tutti gli altri possono non avere i requisiti e un consiglio di gestione di cinque, all’interno del quale poi ci sono le deleghe. Le poltrone sono triplicate. Allora questo è un aspetto che dobbiamo valutare con l’attenzione e il vaglio critico legato alle esperienze non sempre positive di queste assegnazioni di poltrone che abbiamo conosciuto nel passato.
Grazie