IL “TRATTATO MODIFICATIVO” NON MODIFICA IN NULLA L’ORIENTAMENTO NEOLIBERISTA DELL’EUROPA
Il “no” francese era, sostanzialmente, un “no” all’Europa neoliberista e un “sì” ad un’altra Europa. I “no” francese e olandese sono l’espressione della crisi dell’Europa, non la causa della crisi stessa. Nè possono essere recuperati da coloro che pensano di continuare la costruzione europea secondo i precetti neoliberisti contenuti nei trattati. Però è esattamente quello che si propongono di fare ora i capi di stato o di governo europei con il nuovo trattato, il “trattato modificativo”.
Pura cosmesi….
Per far inghiottire meglio la pillola e battere sul tempo la possibile mobilitazione dei cittadini, quel che ci vuole è una calendario di scadenze iper-ravvicinate. Il Consiglio europeo ha deciso a fine giugno di dare mandato a una Conferenza intergorvernativa (CIG) di elaborare il nuovo trattato. Basandosi su questo mandato, la nuova presidenza portoghese dell’UE ha proposto una bozza del nuovo testo già il 23 luglio, in occasione della riunione di lancio della CIG. Nei giorni 18 e 19 ottobre, un Consiglio europeo anticipato dovrebbe approvare il trattato. La ratifica del trattato stesso da parte degli Stati membri è stabilita per il primo semestre 2008.
Vogliono quindi servirci a tutta velocità il progetto di Trattato costituzionale europeo (TCE) in nuova salsa. Infatti, come ha dichiarato Giscard d’Estaing in persona:”i governi europei si sono messi d’accordo su delle modifiche cosmetiche alla costituzione perché sia più facilmente digeribile”.
Certo, è scomparso ogni riferimento a una costituzione, come è scomparsa la terza parte. Ma, nella misura in cui si riduce a un trattato che modifica trattati esistenti, tutto quello che era contenuto nella terza parte continua a vivere nei trattati in vigore.
La non menzione della concorrenza libera e non falsata tra gli obiettivi dell’Unione si risolve in un puro esercizio stilistico. Essa rimane l’asse centrale della costruzione europea. Infatti, le conclusioni del consiglio europeo ribadiscono, se l’avessimo dimenticato, che il rafforzamento della libera circolazione dei capitali continua a rivestire un’importanza capitale. Il Regno Unito da parte sua ho ottenuto che un protocollo richiami espressamente nel nuovo trattato, che “il mercato interno comprende un sistema che garantisca che la concorrenza non sia falsata”.
Quanto alle riforme istituzionali (in particolare la possibilità di iniziativa popolare, l’estensione della codecisione con il parlamento europeo a nuovi settori, la possibilità di maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali e l’introduzione del diritto di iniziativa per i cittadini) sono un progresso indubbio. Ma questi piccoli passi avanti non rimettono in discussione l’impianto istituzionale dell’Unione, in particolare il ruolo centrale della Commissione e l’intervento delle lobbies che a Bruxelles hanno un grande peso.
Vengono riprese altre “innovazioni” del Progetto di TCE che avevamo contrastato. È il caso della politica di sicurezza e di difesa comune, con il principio di “conformità” (in sostanza un’ammissione di vassallaggio) alla NATO. E ancora, in continuità con le spinte repressive dei governi, la libera circolazione delle persone nello spazio europeo sarà accompagnata, secondo gli obiettivi dell’Unione, da “misure appropriate in materia di controllo delle frontiere esterne, di diritto d’asilo, di immigrazione come pure di prevenzione della criminalità e di lotta contro tale fenomeno”.
Il testo della Carta dei diritti fondamentali rimane immutato, con i suoi numerosi limiti per non dare contenuti sociali significativi all’Unione europea. Ma anche questo è troppo per il Regno Unito; e anche la Polonia e l’Irlanda hanno espresso riserve su di essa. Viene così ufficialmente riconosciuto che dei Paesi possono “chiamarsi fuori” dalle regole sociali minime, comuni all’Unione.
Infatti è proprio in questa tendenza di fondo che si colloca il nuovo “trattato modificativo”: la creazione di una zona di libero scambio, accompagnata da una “rinazionalizzazione” delle politiche europee e intesa ad appiattirle verso il basso sul piano sociale, fiscale, ambientale.
I neoliberisti possono dormire sonni tranquilli
Nulla in questo trattato impedirà di perseguire lo smantellamento dei servizi pubblici a colpi di direttive europee (nemmeno il protocollo che è stato aggiunto sui servizi economici e non economici di interesse generale). Dopo l’apertura alla concorrenza dei mercati dell’elettricità e del gas quest’estate, sarà il turno dell’apertura alla concorrenza dei servizi postali dal 2011. Nulla in questo trattato impedirà la corsa al ribasso fiscale e sociale. Sotto questo aspetto, la Germania è d’altronde il campione dei campioni : smantellando le conquiste sociali e facendo leva sulla concorrenza fiscale, domina nettamente la scena e s’impone, molto di più dei paesi dell’Est, come area iper-competitiva
E perché non dovrebbe, visto che nulla viene proposto per un’armonizzazione europea fiscale e sociale?
Nulla nemmeno contro i paradisi fiscali, nulla contro l’euro forte e la politica della Banca centrale europea (tutt’altro che avara di generosità monetarie per alimentare i circuiti finanziari speculativi) che sistema gli affari dei detentori di capitali contro l’insieme dei cittadini. Come può Nicolas Sarkozy affermare che il “No” al TCE è stato capito?
In questa situazione, il rifiuto di Nicolas Sarkozy di indire un referendum mira ad impedire qualsiasi dibattito pubblico sul nuovo testo. L’Olanda di prepara a farlo ma a noi in Francia viene negato. Questo rifiuto di Nicolas Sarkozy è d’altronde coerente con il metodo, da lui sostenuto, di elaborazione del nuovo trattato: a porte chiuse, tra rappresentanti dei governi. Nei loro “10 principi per un nuovo trattato democratico europeo”, diciassette Attac d’Europa chiedono che il nuovo trattato venga elaborato da un’assemblea eletta direttamente dai cittadini europei, con la partecipazione dei parlamenti nazionali e con un grande dibattito pubblico in tutta Europa. Il nuovo trattato dovrà essere sottoposto a referendum in ciascuno Stato membro. Solo così i popoli d’Europa potranno aderire realmente alla sua costruzione.
Quanto al referendum, esiste ancora una possibilità per l’opposizione parlamentare di ottenerlo: secondo il testo finale adottato per il trattato modificativo e la sentenza della Corte Costituzionale, una revisione della Costituzione potrà essere necessaria, alla quale i deputati dell’opposizione potrebbero opporsi se non prevedesse il referendum. Per il momento però le reazioni del Partito socialista sono inquietanti. Non ha ancora mai ribadito la necessità di tenere il referendum, che pure era una promessa della campagna presidenziale. Per il PS si deve aspettare il progetto definitivo prima di sostenere o no il referendum. Ma non dovrebbe essere una questione di principio per ogni nuovo trattato europeo?
Mobilitarsi, in Francia e in Europa
Bisogna innanzitutto essere consapevoli delle difficoltà che incontreremo. In Francia, il “no” al progetto del TCE si è inserito in un grande movimento di fondo di contestazione all’ordine neoliberista. Si sono avute in seguito altre mobilitazioni, in particolare contro il CPE (Contratto di Primo Impiego) nel 2006. Ha dato l’occasione, durante la campagna referendaria, a tantissimi dibattiti di grande qualità nell’insieme della società francese il che ha premesso una diffusa presa di coscienza in merito all’Europa, alle sue istituzioni, ai suoi obiettivi e ai suoi limiti, e questo malgrado il martellamento mediatico a favore del “Sì”. Eppure, le elezioni presidenziali e legislative di quest’anno hanno visto una sinistra antiliberista divisa e indebolita. Ed hanno anche visto un PS che non ha saputo trarre la lezione dal “No” al TCE. Ora, le offensive di una nuova destra de-complessata, guidata da N. Sarkozy, si moltiplicano a livello nazionale contro le conquiste sociali. Il movimento sociale si ritrova quindi impegnato sui numerosi attacchi scatenati tutti contemporaneamente. E ci rendiamo conto della difficoltà di mobilitarci in modo unitario contro un trattato le cui conseguenze sono più difficilmente percepibili da parte dei cittadini, ma non per questo meno allarmanti. Senza contare che il calendario imposto è estremamente fitto.
Eppure… di fronte a questo scippo del “No” al TCE, è assolutamente necessario organizzare un movimento d’opinione per l’indizione di un referendum e fare, fin da subito, un lavoro di educazione popolare sul contenuto del nuovo trattato. Attac deve poter svolgere nuovamente il suo ruolo sulle questioni europee. Ma altrettanto determinante sarà la nostra capacità di costruire rapporti di forza decisivi a livello nazionale ed europeo. In Francia dovremo superare certe divergenze, comprese quelle sorte dall’articolazione del “Sì” e del “No” di sinistra, per affermare quale Europa vogliamo. Come Attac possiamo contare sulla rete, sempre più solida, degli Attac d’Europa. E possiamo infine contare, a livello europeo, anche sul Forum Sociale Europeo che si terrà prossimamente a Malmö, in Svezia, nel settembre 2008.
Ma la nostra mobilitazione deve andare ben oltre, per far capire la nostra esigenza di un’altra Europa, solidale, ecologica, democratica. Deve collocarsi anche al livello delle politiche europee derivanti dai trattati. Le due scadenze più importanti, la presidenza francese dell’Unione europea nel secondo semestre del 2008 e le elezioni europee del giugno 2009, dovranno essere l’occasione per Attac di condurre una grande campagna di denuncia dello smantellamento programmato delle conquiste sociali annunciato dalla Commissione europea; per pretendere un aumento sostanziale del bilancio europeo, per denunciare la politica commerciale ed estera dell’Unione europea e in particolare la moltiplicazione dei trattati commerciali bilaterali a danno dei paesi del Sud. Infine, e più in generale, per proporre delle alternative in materia di politiche europee e soprattutto pretendere una vera politica ambientale, che risponda all’urgenza ecologica.
Intervento all’Università di Attac Germania, 4 agosto 2007
Aurélie Trouvé, Co-presidente di Attac France
OFCE- Osservatorio Francese della Congiuntura, Lettera n. 277 (dicembre2006)